CENNI CRITICI
La produzione artistica di Scordìa muove i primi passi all’interno della Scuola Romana alla fine degli anni ’30 anche se, come avrà modo di dire lui stesso in un’intervista a Luigi Lambertini: "Fin da bambino era un desiderio costante quello di disegnare, una curiosità tremenda per tutto quello che era pittura”.
Dopo l’esperienza della guerra, nel ’45 Scordìa espone la sua prima personale.
Dice di lui Fortunato Bellonci nella presentazione al catalogo: ”È nato un pittore nuovo, un pittore di quelli che hanno tante cose da dire con naturalezza e razionalità”.
Dopo la parentesi argentina che influenzerà le opere esposte nel ’50 alla Galleria Lo Zodiaco e viaggi a Parigi e Londra, Scordìa conosce direttamente l’arte di Cezanne, Braque, Matisse e Picasso che non può lasciarlo indifferente. Dice di lui Lionello Venturi nel ’58: ”È un cubismo accettato con molta cautela”.
L’insofferenza a qualsiasi tipo di appartenenza fa si che Scordìa mantenga nel tempo la sua indipendenza e continui la propria ricerca personale. Delle opere esposte nel’55 alla Quadriennale di Roma, Venturi dice: ”Scordìa espone nove opere alla Quadriennale che lo elevano al livello dei migliori pittori italiani”. L’incontro con la pittura americana è risolutivo per Scordìa suggerendogli un tipo di espressionismo che gli consente di essere partecipe della realtà senza l’obbligo del figurativo come dichiara lo stesso pittore in un’intervista a Luigi Lambertini nel ’79.
Anche nel suo avvicinarsi all’Action Painting, Scordìa mantiene la sua autonomia.
Come scrive Calvesi nel ’62: “Si vede molto bene, alla lunga, che quella di Scordìa non è una pittura di gesto ma di immagine” e, come sottolinea Argan nel ’74: ”La sua pittura rimane più di composizione che di gesto” e come dice lo stesso Scordìa ”È il colore a possedere una propria qualità di immagine insieme al segno, naturale sfogo di energia”. Il “colore-immagine”, come lo definisce Argan, caratterizzerà tutta la produzione di Scordìa, insieme ad un uso magistrale del bianco: ”I bianchi di Scordìa!” dice Lambertini, “il robusto colore di sempre” (Calvesi ’59), "i larghi piani bianchi, abbacinanti, entro i quali si raccolgono le sensazioni colorate” (Calvesi ’62), “lo spazio di Scordìa è tornato ad essere lo spazio dell’immagine oggettiva semplificata in una folgorante campitura di colore” (Lorenza Trucchi ’69), “i dipinti del ’76 sono alcune delle costruzioni liriche più pure e folgoranti del colore-immagine di Scordìa" (Dario Micacchi ’76), ”Ma la raffinata qualità delle giustapposizioni delle zone colorate riconduce tutto ad un punto di splendido equilibrio” (Nello Ponente ’77), così come costante è “il rapporto che Scordìa ha con la realtà, per lui inseparabile del vedere e del sentire, dell’occhio e della mente” come ha scritto Lorenza Trucchi nel ’94 aggiungendo: ”Credo che egli sia stato quello che ha applicato con maggiore rigore e chiarezza l’insegnamento cezanniano della “struttura ed energia e la regola della composizione matissiana: sistemare in maniera decorativa i diversi elementi per esprimere dei sentimenti”.
1945. Autoritratto con Valentina, 70x45
1949. Barca, 60x50
1951. Bagnanti, 150x168
1954. Innaffiatoio in Giardino, 97x73
1956. Siesta in Campagna, 100x135
1957. Ruderi nel Parco, 162x130
1958. Tranche de Vie n°1, 163x130
1960. Apparizione, 105x130
1961. Frammento Azzurro, 130x97
1963. Grande Frammento, 162x130
1965. A Velasquez, 135x195
1966. Spazio per Due, 162x130
1967. Incontro, 130x105
1969. In the Summertime, 175x210
1974. Specchio Nero, 130x105
1976. Estate, 175x210
1981. Blue Mood, 162x130
1984. Girotondo, 130x162
1986. Pietra Lavica, 190x250
1987. S T., 162x130